«un cane val più di un cristiano.
Lei lo picchia e lui le è affezionato l’istesso,
non gli dà da mangiare e lui le vuole bene l’istesso,
lo abbandona e lui le è fedele l’istesso.
Il cane è nu signore, tutto il contrario dell’uomo».

«Io mangio più volentieri con un cane che con un uomo».

(Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, meglio noto come Totò)


A me Totò non è mai piaciuto particolarmente.
Alle superiori avevo un carissimo compagno di classe che lo adorava e che conosceva a memoria quasi ogni sua battuta, ma a me lui e i suoi film non ispiravano alcuna simpatia o attrazione.

Solamente poche settimane fa Totò mi è diventato improvvisamente molto simpatico quando mi è capitato di leggere queste sue bellissime parole, che egli pronunciò durante un’intervista che Oriana Fallaci gli fece nel 1963, nel corso della quale la grande giornalista e scrittrice chiese a Totò lumi su quei 220 cani che egli era arrivato ad adottare, pur di toglierli dalla strada, e che odiava chiamare randagi, perché considerava quel termine inadatto e quasi volgare.

Peraltro ho pure scoperto che nel 1965 Totò fece costruire a Roma l’innovativo rifugio “L’Ospizio dei Trovatelli” per 45 milioni delle vecchie lire.


Breve spezzone dell’intervista che nel 1963 Oriana Fallaci fece a Totò

E allora mi dica: perché recita in quei brutti film?
«Signorina mia: io non prendo i 100, i 70, i 50 milioni di lire che prendono gli altri.
E ciò di proposito, perché se sento dire che il tale o la tale hanno preso 600 milioni per la parte in un film, resto inorridito, schifato.
Io non ho mai voluto prendere grandi cifre perché ho sempre pensato che il produttore deve guadagnare, col film.
Se non guadagna, fallisce.
Se fallisce, io non faccio più film.
E se un po’ alla volta falliscono un po’ tutti, dopo che faccio?
I film dove recito io son commerciali, son filmetti arraffati, destinati alle sale di seconda visione, e costano poco: anche come film.
Quando son lì, non posso mica dire no, questo io non lo fo, non mi piace, non va…
Sarebbe scorretto, scortese…
Senza contare che io non posso vivere senza far nulla: se vogliono farmi morire, mi tolgano quel divertimento che si chiama lavoro e son morto.
Poi sa: la vita costa, io mantengo 25 persone, 220 cani…
I cani costano…».

Duecentoventi cani?!? E perché? Che se ne fa di 220 cani?
«Me ne faccio, signorina mia, che un cane val più di un cristiano.
Lei lo picchia e lui le è affezionato l’istesso,
non gli dà da mangiare e lui le vuole bene l’istesso,
lo abbandona e lui le è fedele l’istesso.
Il cane è nu signore, tutto il contrario dell’uomo».

Lei non ha una gran stima degli uomini. Una buona opinione del Suo prossimo. E forse non ha nemmeno molti amici.
«No. No. No!
Io mangio più volentieri con un cane che con un uomo.
Di amici… ne avrò due, forse.
Sì, due ne ho: il conte Paolo Gaetani e il conte Fabrizio Sarazani.
A parte il titolo, due che lavorano, come me: umili operai, come me.
Perché vede quella mia battuta «siamo uomini o caporali» non è affatto un gioco.
Il mondo io lo divido così, in uomini e caporali.
E più vado avanti, più scopro che di caporali ce ne son tanti, di uomini ce ne sono pochissimi».