Coldiretti vuole una legge che vieti il cibo sintetico

Da poco più di due settimane Coldiretti ha avviato su tutto il territorio nazionale una raccolta di firme con l’obiettivo di promuovere una legge che vieti la produzione, l’uso e la commercializzazione del cibo sintetico in Italia, perché secondo l’associazione dei coltivatori questa tipologia di cibi metterebbe a rischio il futuro dei nostri allevamenti e dell’intera filiera del cibo made in Italy.

Tale petizione può essere sottoscritta negli uffici Coldiretti, nei mercati contadini di Campagna Amica e in tutti quegli eventi che vengono promossi a livello nazionale e locale, e, visto che nel giro di pochi giorni essa ha rapidamente superato il numero di 200mila firme, faccio una certa fatica a immaginare che la raccolta non sarà un successo, anche perché l’opposizione degli italiani ai cibi artificiali sembra essere piuttosto forte, se è vero che, come dice il Censis, l’84% degli italiani dichiara di essere contrario ai cibi prodotti in laboratorio.

Anche a me il cibo sintetico non ispira alcuna fiducia, però credo che la questione sia un po’ più complicata di come la dipinge Coldiretti e ritengo che essa meriti un minimo di approfondimento.

Innanzitutto non penso che l’arrivo del cibo sintetico sia così immediato come Coldiretti vorrebbe farci credere quando scrive che

  • già ad inizio 2023 potrebbero essere introdotte a livello Ue le prime richieste di autorizzazione all’immissione in commercio di cibi sintetici,
  • entro il primo semestre 2023 negli Usa potrebbero entrare in commercio i primi alimenti sintetici.
Le ragioni per le quali non penso che ci sia un pericolo immediato sono due, la prima di contorno e la seconda sostanziale :
  1. il nostro nuovo ministro dell’Agricoltura, della Sovranità al consumo umano Alimentare e delle Foreste ha recentemente garantito in Senato che finché l’attuale maggioranza sarà al governo non potranno arrivare sulle tavole degli italiani dei cibi creati in laboratorio,
  2. i costi dei cibi sintetici sono ancora troppo alti, anche se è vero che essi continuano a diminuire e che abbastanza presto arriveranno al livello che consentirà ai cibi artificiali di  affrontare il mercato. Infatti, il primo hamburger realizzato con carne sintetica fu servito nel 2013 e aveva un costo effettivo attorno ai 330mila dollari, mentre già oggi quel panino costerebbe tra i 9 e i 10 dollari (sono ancora troppi, ma fanno intuire che la strada sia tracciata).
In secondo luogo non credo che vietare i cibi sintetici sia il metodo migliore per affrontare la questione in un mondo che ormai è popolato da otto miliardi di persone e che fatica a sopportare e a supportare sia quell’immenso impiego di risorse sia il conseguente inquinamento, che la necessità di alimentare una così vasta popolazione comportano.

Per cercare di risolvere il problema qualcuno sta perfino pensando di farci mangiare ragni e cavallette, e sinceramente, se dovessi essere messo di fronte alla scelta tra un piatto di insetti fritti e un arrosto di carne sintetica, personalmente sono quasi sicuro che sceglierei l’arrosto.

Tra i vari cibi che potrebbero vedere lo sviluppo di una variante sintetica mi sembra che la carne sintetica sia quella che per prima sarà pronta per arrivare sul mercato.
Essa viene chiamata anche “carne coltivata”, “carne pulita”, “carne in vitro”, “carne artificiale”, ed è un alimento proteico che viene prodotto dall'agricoltura in vitro di tessuto animale con l'utilizzo di tecniche bio-ingegneristiche.


La prima componente di questa "agricoltura" cellulare sono le cosiddette linee cellulari, che generalmente sono costituite da cellule staminali, le quali per il loro corretto sviluppo vengono collocate all'interno di grandi macchine, dette bioreattori, in cui possono proliferare e differenziarsi e dove vengono “allevate”, cioè nutrite in vitro, utilizzando dei sieri di origine vegetale e animale, che permettono loro di crescere fino a diventare tessuto muscolare.

La carne sintetica pur sembrando effettivamente essere una vera carne, composta da cellule muscolari e da grasso, a me però ispira ancora poca fiducia, perché un processo di produzione ad alta tecnologia come quello che è necessario per realizzarla, mi sembra troppo complicato da controllare.

Inoltre la cosa che a me infastidisce in modo particolare deriva dal fatto che la necessità di utilizzare tecniche altamente sofisticate renda quasi impossibile produrre cibo in autonomia a tante comunità, che rischiano di diventare fortemente dipendenti dalle grandi società alimentari, ripetendo così quel brutto fenomeno che si è già visto accadere nel settore dei fertilizzanti.