Il Mondiale dei martiri, ovvero i martiri del Mondiale
Non sono un
tifoso, non so niente di calcio, non conosco praticamente nulla dei mondiali che si stanno giocando attualmente, però l’altro giorno un titolo di
giornale ha attirato la mia attenzione, quando ho letto che il segretario
generale del comitato supremo del campionato del Qatar aveva dichiarato, che durante
la costruzione degli impianti sportivi sono morti 400-500 lavoratori migranti.
Mi
sono subito stupito della vaghezza del dato dichiarato, perché mi sembra che 400
morti siano ben diversi da 500 morti, e ho quindi pensato innanzitutto che una persona
che riporta con tanta approssimazione il numero dei lavoratori morti sia una
persona che considera che quei lavoratori non avessero alcun valore, poi ho deciso di iniziare ad approfondire un po’ la questione.
Ho
così appreso che i numeri dei lavoratori migranti morti nella preparazione dei
mondiali di calcio siano alquanto ballerini, anche se in lenta evoluzione.
Infatti,
ho potuto vedere che dai tre morti dichiarati inizialmente di malavoglia, si è
poi passati a 40 morti dichiarati, per arrivare ora a 400-500 morti dichiarati.
Questo
se si guardano i dati che vengono comunicati dal Comitato organizzatore, perché
se poi si osservano i numeri che vengono forniti da organizzazioni umanitarie e
dai giornali, si scopre un quadro completamente diverso, secondo il quale nell’ultimo
decennio sono migliaia i lavoratori che sono tornati in patria in una bara.
Ad esempio, il The Guardian in una sua inchiesta del 2021 aveva rivelato che, tra i
lavoratori migranti dei cantieri per la costruzione dei sette stadi e di tutte le infrastrutture connesse con il
Mondiale, i morti sarebbero stati addirittura
almeno 6500 e che le dure
condizioni di lavoro a temperature estreme abbiano condotto a troppe morti per colpi
di calore.
Approfondendo
ulteriormente la questione è emersa una realtà sconvolgente di lavoratori privi
di diritti, sfruttati in modo atroce e trattati come schiavi, sottoposti a
turni massacranti sotto il sole cocente, in condizioni che hanno debilitato il fisico
di tantissimi di loro.
La stragrande
maggioranza della forza lavoro utilizzata in Qatar proveniva soprattutto da Paesi
come India, Nepal, Bangladesh, Pakistan, Sri Lanka e Filippine.
La
micidiale
routine di questi lavoratori prevedeva che dopo una durissima
giornata di lavoro, essi venissero condotti alle loro piccole e sporche stanze prive di finestre e situate in baraccopoli sovraffollate distanti una quarantina di
minuti d’auto.
A questi
lavoratori veniva pagato uno stipendio di 1000 riyal al mese, che corrispondono
a poco più di 200 euro, con i quali in Qatar non si riesce a fare praticamente
quasi nulla, a parte mangiarsi qualche panino.
Quindi
a quei lavoratori migranti non rimaneva altro che lavorare, mangiare e dormire, per riuscire a mandare a casa qualche soldino.
Quando
ho scoperto tutte queste terribili cose mi è sembrato di aver fatto un balzo
indietro nel tempo e di essere piombato in un mondo di schiavisti dei secoli
scorsi.
Purtroppo
si tratta invece di una tristissima realtà dei giorni nostri.
L’unica
nota di parziale conforto deriva dall’aver saputo che Amnesty International ha
chiesto alla Fifa di definire insieme alle autorità del Qatar un piano di
risarcimenti da 440 milioni di dollari per indennizzare le famiglie di quei
tanti lavoratori morti, perché queste famiglie, oltre al dolore per la scomparsa
dei lori cari, adesso devono fare i conti anche con una pesante incertezza
economica.